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Fino alla prima metà del 1900, se da un lato le tecniche agricole erano arretrate anche rispetto ad altri paesi della stessa epoca, l'Italia produceva innumerevoli varietà "locali". Così come vale per le tradizioni gastromiche che mutano da una città all'altra, anche le coltivazioni assumevano innumerevoli differenze pur essendo coltivate in aree vicine. Queste varietà erano relativamente poco produttive, non avevano caratteristiche omogenee (oggi diremmo standard per il mercato) ma il loro sapore e le proprietà nutritive erano alla base della nostra tradizione alimentare e delle ricette tramandate dalle nostre nonne.

Quello che veniva coltivato o allevato diventava parte delle ricette, delle tradizioni e dei sapori popolari ed ha costruito la storia enogastronomica del nostro paese. 

 

Dalla seconda metà del secolo scorso, a partire dagli anni '50-'60, la parola d'odine è diventata "produttività", e l'essere sempre più produttivi è diventata una nevrosi del nostro presente. Mangiamo molto di più, i nostri frigoriferi trabordano di cibo a basso costo che ci permettiamo il lusso di buttare. Il miraggio della produtttività, e della presunta ricchezza che essa avrebbe comportato, hanno portato ad abbandonare le tecniche agricole usate fino a poco prima e di conseguenza le varietà e razze tipicamente locali.

L'industria alimentare moderna, per poter esistere, aveva bisogno di materie prime che non variavano nel tempo e che consentivano una produttività uguale di anno in anno. Spinta da questo nuovo bisogno, la ricerca scientifica si è impegnata da un lato nel fornire ad agricoltori ed allevatori un supporto chimico per consentire una maggiore resa produttiva e una maggiore protezione dagli elementi nocivi (piante infestanti, malattie, ecc), dall'altro sono state sperimentate tecniche di ibridazione, incroci e modifiche genetiche indotte così da creare razze e varietà migliori e più adatte nell'ottica della industria alimentare.

panorama risicata

Parlando del grano, da sempre l'essere umano ha incrociato varietà diverse per crearne di nuove, più produttive e resistenti. I primi veri esperimenti di genetica scientifica vengono associati a Nazzareno Strampelli che nel 1915 registra la varietà Senatore Cappelli, risultato di una selezione genetica da grani di una popolazione nord-africana.

Il Senatore Cappelli è un grano resistente e produttivo e si diffonde rapidamente fra quelle coltivate nel nostro paese. come le altre varietà derivanti da selezione e da incroci, questo grano ha ancora tutte le caratteristiche dei grani antichi, fra cui l'altezza e una resistenza alle malattie, non sempre adeguata a qualsiasi territorio.

Finita la seconda guerra mondiale, si iniziano a sperimentare nuove tecnologie per ottenere varietà sempre migliori. Il punto di svolta in tal senso avviene negli anni '70, quando alcuni ricercatori italiani ottengono il grano CRESO derivato da un incrocio tra grani duri e teneri con una linea mutante indotta da una irradiazione combinata di neutroni e raggi gamma nel frumento duro Senatore Cappelli.

Pur non essendo una varietà OGM, nel senso moderno del termine, il grano CRESO è certamente una varietà ottenuta da una variezione genetica indotta in modo non naturale. Ed è proprio il grano CRESO da cui derivano quasi tutti i grani moderni oggi utilizzati.

Quesa modifica genetica ha consentito quella che si chiama nanizzazione, cioè ridurre l'altezza del grano (oggi intorno ai 70 cm, rispetto alle varietà antiche che superavano i 160 cm) e una maggiore resistenza ad alcune malattie oltre ad una maggiore capacità produttiva, di fatto tutto quello che agricoltori ed industria desideravano.

Alcune ricerche, ad oggi inevitabilmente controverse, ritengono che i grani moderni siano anche alla base della crescente diffusione delle intolleranze al glutine.

Oltre alla malattia vera e propria (celiachia), nel presente esistono innumerevoli patologie legate alla difficoltà di digerire ed assumere cibi con glutine. Alcune ricerche ritengono che la modifica nella "forza" del glutine e nella molecola stessa portano a delle interferenze con alcuni meccanismi del nostro organismo che ne consentono la digestione. L'argomento è complesso e gli interessi commerciali coinvolti sono enormi.

Se fosse vero che i grani moderni sono una delle cause delle intolleranze alimentari più diffuse negli ultimi anni, non solo ne subirebbero danni le aziende del comparto cerealicolo, ma anche tutte le aziende che producono cibi senza glutine.

Una cosa che certamente si può affermare è che il glutine dei grani antichi è più semplice, meno "tenace" e più semplice da digerire.