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Fino alla prima metà del 1900 le tecniche di ibridazione, quindi di creazione di nuove varietà partendo da varietà esistenti avveniva in modo controllato ma naturale. Probabilmente uno dei più recenti e famosi grani ottenuti con queste tecniche è il "Senatore Cappelli", selezionato nel 1915 dal ricercatore e genetista Nazzareno Strampelli presso il Centro di Ricerca per la Cerealicoltura di Foggia.

La varietà "Senatore Cappelli" si diffonde rapidamente, è un buon grano, è versatile ed è obiettivamente buono producendo abbastanza bene per quell'epoca. Derivando da altre varietà antiche, come questi cresce tanto, fino a 1,80 m. E quando il grano è alto è soggetto ad abbattersi con il vento (allettamento).

I grani moderni

Con la fine della seconda guerra mondiale, le tecniche agricole hanno avuto una enorme spinta. E' in quel periodo che oltre l'applicazione della chimica nelle coltivazioni ha consentio di favorire la crescita del prodotto che si desiderava raccogliere, concimandolo ed eliminando parassiti, agenti fungini e piante infestanti.

Avviene però anche un'altra evoluzione, dagli anni 50, iniziano infatti le sperimentazioni con irradiazioni a raggi gamma ed è così che nel 1974,a seguito di ulteriori ibridazione nasce la famiglia dei grani "creso", viene fatta la così detta nanizzazione dei frumenti, ne si muta geneticamente l'aspetto per renderli bassi. Ed è da questa origine che derivano tutti i grani moderni (con altezza di 0,50-0,70 m).

La nanizzazione, tramite un processo che di fatto è una modifica genetica (alla faccia delle campagne no-OGM), avrebbe però un grosso problema. Se infatti avere un grano basso evita problemi di allettamento, rende il grano più basso di tutte le piante infestanti, che lo sovrasterebbero.

Qui entra in aiuto la cimica agricola, che dagli anni 40 in poi sviluppa concimi e diserbanti. 

Il mondo ha trovato la soluzione: prima nanizziamo i grani, poi irroriamo con diserbanti i terreni e concimiamo i terreni per consentire coltivazioni continue, promettendo rese meravigliose (è infatti proprio nel 1974 che Monsanto inizia a vendere il Glifosato).

Viva l'agricoltura moderna! ... o quasi

In effetti, in quegli anni, tutto va come nei migliori sogni che un agricoltore possa mai fare: grani che crescono comodi, alti il minimo per poter essere raccolti e non avere problemi in caso di agenti atmosferici avversi, diserbanti che spazzano via qualsiasi cosa, perfetti per l'uso post-emergenza (ad esempio se autunni molto piovosi rendono troppo ricchi di vegetazione i terreni, altri che si adattano ad uccidere solo determinate piante e infine i concimi chimici che permettono di sfruttare i terreni in modo continuo.

Sì, perchè fino agli anni 80, almeno in Sicilia esistevano fondamentalmente due modi di usare il terreno dopo aver coltivato un cereale: lo si lasciava senza coltivazioni facendo continue lavorazioni per arricchire il terreno di azoto e togliere le infestanti che nascevano (la così detta "maggese di sole"), oppure si coltivavano leguminose (che consentivano l'apporto organico di azoto nel terreno, arricchendolo per la coltura successiva).

Tutto questo, si dice, non serve più. Ora è possibile coltivare ogni anno grano (economicamente più conveniente) e non c'è da preoccuparsi per lo sfruttamento dei terreni, tanto ci sono i concimi.

Peccato che la natura è più forte dell'essere umano ed oggi sono evidenti i problemi che queste logiche hanno portato.

Non approfondiamo qui, la diatriba che negli ultimi anni c'è sul come i grani moderni sembra abbiano indotto una maggiore sensibilità al glutine e al grano (la certezza richiederebbe studi indipendenti che non convengono alle grandi industrie). Attenzione, non si parla di celiachia. Quest'ultima è una malattia, se è aumentata la sua incidenza e se c'è una qualche relazione sulle modalità di coltivazione moderna è un discorso molto più complicato e molto più difficile da dimostrare. La sensibilità invece include tutti i disturbi gastro-intestinali, che portano malessere non essendo specificatamente celiachia. Per ora ci limitiamo a dire che alcuni studi recenti stanno evidenziando delle possibili relazioni e speriamo di poter approfondire presto in un articolo dedicato.

Altro aspetto che provoca molti pareri contrastanti è che non si conosce l'effetto dell'assunzione alimentare dei residui di diserbanti e antifungini. Quello che è certo è che in quantità minore sui grani italiani e maggiori sui grani importati dall'estero, queste sostanze rimangono e poi diventano pasta e farina che usaimo per nutrirci. Ma davvero mangiare qualche cosa che stermina ogni forma di vita vegetale ed animale, non ci fa assolutamente nulla? Anche la risposta a questa domanda si scontra con la difficoltà nell'avere studi e ricerche indipendenti, troppi sono i soldi in ballo.

L'adozione di diserbanti, come detto, ha dovuto scontrarsi con la natura. Le piante infestanti hanno iniziato ad adattarsi, a mutare anche loro per diventare resistenti agli agenti chimici ed oggi da nord a sud, tnati agricoltori vedono nei propri terreni piante infestanti che riescono a resistere sempre maggiormente.

A questo si aggiunge un fattore inevitabile. Lo sfruttamento continuo dei terreni non si può risolvere solo con concimi chimici. I terreni sono vivi, continuando a trattarli chimicamente, prima per uccidere tutto e poi per spingere la crescita li si rende sempre meno fertili, li si consuma inevitabilmente. 

Un pomodoro può crescere anche in coltura idroponica, in acqua e sali minerali. Cresce e matura. Ma ogni prodotto assume un sapore che va oltre, il sapore dei nostri cibi deriva dal luogo dove questo cresce, del resto è questa la ragione per cui un pese allevato è meno buono di uno pescato o lo stesso vitigno produce vini diversi in base al terreno dove cresce,

La riscoperta delle varietà antiche

Negli ultimi cinquant'anni, in sostanza, coltiviamo e ci nutriamo di prodotti, che non esisterebbero in natura (perchè troppo deboli per contrastare le infestanti), nutrendoli con prodotti chimici sempre più efficaci, trattandoli con altri prodotti per uccidere qualsiasi cosa (animale o vegetale) che nel nostro modo di pensare non serve.

Invece che favorire la bio-diversità, favoriamo il bio-appiattimento.

Per fortuna, una parte dei consumatori, si è resa conto che tutto quello che viene riversato sui terreni coltivati o dato come nutrimento negli allevamenti, diventa parte della nostra catena alimentare. E' vero che abbiamo a disposizione molto più cibo e a costi molto minori, ma ci stiamo nutrendo di prodotti chimici.

Da questa considerazione è nata la volontà di cercare prodotti che oggi definiamo biologici, cioè coltivati con metodi di coltivazione ed allevamento che non utilizzano prodotti chimici moderni.

C'è però un problema che moltissimi agricoltori che iniziano il processo biologico non valutano: non è possibile far convivere il biologico con quelle varietà che sono state modificate pensando all'aiuto che sarebbe derivato dall'uso di prodotti chimici. Tornando all'esempio del grano, una esile pianta selezionata che non riesce a crescere più ci 50cm circa, non potrà mai vincere contro una qualsiasi infestante in grado di raggiungere i due metri e mezzo di altezza.

In più i terreni coltivati in modo intensivo hanno perso parte della loro vitalità e richiedono tempo per poter ritrovare determinati equilibri energetici.

Per queste ragioni, moltissimi agricoltori convertiti al biologico, non per volontà ma solo per seguire il boom economico si sono trovati con problemi enormi e rese produttive bassissime, ma cosa più triste e grave è che molti prodotti che hanno la certificazione biologica in realtà vengono tratttati chimicamnte in modo non autorizzato. 

Quando abbiamo intrapreso la certificazione biologica lo abbiamo fatto come inevitabile azione derivante dalla scelta di coltivare varietà locali recuperate dalla tradizione, quelle che vengono chiamate "varietà antiche da conservazione", cioè quelle varietà vegetali che erano presenti in una determinato territorio fino all'avvento della chimica evoluta e delle varietà ibridate.

Sono dette "da conservazione" perchè queste varietà sono oramai da conservare e proteggere dall'estinzione. Non sono più considerate abbastanza produttive o adatte ai metodi di coltivazione moderna, ma nella realtà sono più forti e posseggono proprietà organolettiche e nutritive eccezionali.

Dal nostro punto di vista, solo utilizzando varietà antiche è possibile rendere il biologico una tecnica realmente onesta e praticabile, garantendo il consumatore sul prodotto di cui si nutrirà.